I consorzi di bonifica
Gli attuali consorzi di bonifica italiani sono gli eredi degli antichi consorzi irrigui e di colo, costituiti fra i proprietari a partire dal periodo romano. Questi sono poi riapparsi nel Medioevo e nel Rinascimento, collaborando in modo crescente con lo Stato e diventando istituzioni pubbliche.
Forme associative nell’antica Roma
Le prime forme associative di utenti dei pubblici acquedotti compaiono già nel trattato De Aquaeductibus urbis Romae di Frontino. Un decreto del Senato dell’epoca di Augusto contiene l’istituto giuridico del consorzio dei concessionari, che nel settore irriguo sopravviverà fino ai giorni nostri. Per evitare un numero eccessivo di allacciamenti ai canali e alle tubazioni pubbliche, che indeboliscono le strutture e provocano abusi, è stabilito l’obbligo, per i privati, di associarsi nell’opera di derivazione.
Il consorzio deriva la quantità d’acqua in un unico punto, convogliandola fino ad un dividicolo privato (castellum) da cui ciascun utente può derivare la quantità di sua pertinenza. Per agevolare questa ripartizione, i Romani concepiscono una serie speciale di tubi che forniscono numeri interi di quinarie. Questo sistema è l’antenato del partitore, ancor oggi diffuso nelle pianure irrigue dell’Italia settentrionale.
Ancora Frontino, parlando delle ville del Toscolano, accenna al turno irriguo, altro importante istituto giuridico per le esigenze dell’agricoltura. Anche in questo contesto è richiesta un’organizzazione di tipo consortile, che riunisca tutti i poderi interessati all’attività.
Forme associative nel Medioevo e nel Rinascimento
Oltre ai grandi acquedotti urbani i Romani costruiscono canali navigabili ed irrigui, di cui in Lombardia si ha traccia con il Canale della Muzza e con il Naviglio Grande Bresciano.
Dopo la battaglia di Legnano e la pace di Costanza, tra i comuni lombardi e il Sacro Romano Impero si apre un fiorente periodo per la costruzione di opere idrauliche. Due grandi canali diventano i prototipi di una nuova storia della navigazione interna e dell’irrigazione europea: il Naviglio Grande – che collega Milano al Ticino ed al Lago Maggiore, ed è nel contempo navigabile ed irriguo – e il Canale Muzza, con finalità unicamente irrigue, derivato dall’Adda nel Milanese fino a Paullo e poi nel Lodigiano. Elia Lombardini sottolineerà la continuità di questa tradizione costruttiva, parlando di un trasferimento ininterrotto di conoscenze tecniche dall’epoca romana.
I protagonisti della realizzazione di canali navigabili e/o irrigui sono sia pubblici che privati. In genere lo Stato costruisce e gestisce i canali principali, mentre i consorzi dei privati si occupano delle reti secondarie e i singoli privati delle reti terziarie. In altri casi il ruolo dello Stato può essere surrogato da un’istituzione ecclesiastica o da un grande proprietario terriero.
Per lungo tempo l’irrigazione e i relativi consorzi sono presenti soltanto nell’Italia settentrionale, mentre a sud del Po dominano le colture seccagne. In tutto il paese è invece già da tempo praticata, da parte di libere associazioni di proprietari terrieri presenti già nel Medioevo, la bonifica delle aree paludose.
Questa esperienza secolare in opere di bonifica e irrigazione favorisce, in Italia, lo sviluppo di forme di avanguardia del diritto delle acque. In particolare, la costruzione di estese reti irrigue e di colatura porta a praticare, prima nel Medioevo e poi nel Rinascimento, la servitù d’acquedotto.
Bonifica montana e bonifica integrale
Nel Seicento e nel Settecento, in Toscana prendono forma concetti come la bonifica montana e la bonifica integrale, che la politica e la normativa europea recepiranno soltanto più avanti.
A questo proposito Vincenzo Viviani collegherà la bonifica delle zone collinari e montane con la bonifica delle pianure, mentre Leonardo Ximenes, nel suo trattato Due ragionamenti sulla fisica riduzione della Maremma Senese, concepirà i fattori in gioco come un solo ed indivisibile sistema e proporrà d’intervenire con una molteplicità di interventi risanatori complementari.
La normativa sulla bonifica nell’Italia unita
Dopo l’unità nazionale si giunge a una normativa ormai matura, ispirata dai principi di integrazione e di sussidiarietà. Le opere di bonifica comprendono sia interventi di sistemazione idrogeologica, sia infrastrutture finalizzate allo sviluppo economico e sociale delle popolazioni. La sussidiarietà porta ad assegnare un ruolo importante ai consorzi dei proprietari, poiché lo Stato rinuncia ad eseguire e a mantenere determinate opere di interesse pubblico affidando a loro l’incarico.
Nei primi anni dell’unità d’Italia la legge sui lavori pubblici non comprende le opere di bonifica, rimandate ad una legge speciale di futura emanazione. Negli anni successivi le forme consortili private si moltiplicano, e altre leggi accrescono l’interesse intorno al settore della bonifica e dell’irrigazione.
La prima legge sulla bonifica è la cosiddetta legge Baccarini, che coinvolge i consorzi dei proprietari terrieri per mantenere le opere d’interesse statale. In questa legge l’obiettivo fondamentale della bonifica è il risanamento idraulico ed igienico, mentre il miglioramento agricolo e lo sviluppo economico sono considerati obiettivi locali.
Una nuova concezione di bonifica del territorio prende corpo negli anni seguenti, giungendo così all’approvazione del nuovo T.U. 13 febbraio 1933, n.215 (detto legge Serpieri), che introduce un regime giuridico unitario per gli interventi di “bonifica integrale”. Questa definizione comprende non solo le opere tradizionali, ma anche quelle per la difesa del territorio dalle acque di piena, come la sistemazione dei torrenti montani, il rimboschimento e il rinsaldamento delle pendici, la provvista di acqua potabile ed energia elettrica e la costruzione di strade nelle aree rurali.
Nel 1976 è stato censito che in Italia esistevano 331 consorzi di bonifica, con una superficie complessiva di 12.300.000 ettari, pari al 41% del territorio nazionale.