Il curatore delle acque nell’antica Roma

Il periodo repubblicano dell’antica Roma vedeva lo stato appaltare ai privati la costruzione e la gestione dei pubblici acquedotti. Ai magistrati romani spettavano le funzioni di polizia idraulica, le concessioni di derivazione e la vigilanza sull’operato degli appaltatori. Dopo la fondazione dell’impero, in circa 80 anni il numero degli acquedotti passa da 4 a 9, mentre la portata complessiva aumenta più del doppio. Contemporaneamente cambia l’assetto organizzativo con la transizione dalla gestione privata a quella pubblica, che richiama il processo che si verificherà nell’Europa moderna. La nuova linea gestionale viene definita con precisione e determinazione dal grande militare Marco Agrippa, il principale collaboratore di Augusto. Egli assume la carica di edile e si trasforma in una figura capace di cambiare il volto di Roma.

Agrippa riceve da Augusto la nuova carica di Curatore delle acque (Curator aquarum) e la interpreta in modo libero, accentrando nella sua persona tutti i poteri di costruttore e gestore di nuovi acquedotti, con un corpo di tecnici ed operai predisposto. Alla morte di Agrippa, questo corpo sarà lasciato ad Augusto che, in omaggio al Senato, lo trasferirà alle strutture tradizionali dello stato. Questa nuova linea gestionale è ormai tracciata e si affermerà definitivamente con Claudio, altro grande costruttore di acquedotti.

Dopo la morte di Agrippa Augusto codifica i compiti del Curatore delle acque, il quale, con il proprio ufficio, svolge funzioni di coordinamento, alta vigilanza e polizia, raccolta dati e programmazione. Egli diventa così il dominus di un sistema complesso, che comprende le strutture fisiche, le risorse umane, gli enti e le aziende degli acquedotti all’interno e all’esterno dell’Urbe. Contemporaneamente Augusto crea un’altra magistratura simile, che si occupa del Tevere e delle cloache (Curator alvei Tiberis et riparum et cloacarum). Prende così forma la geniale istituzione romana delle sovrintendenze alle acque, che è la madre delle tante magistrature successive della storia italiana ed europea.

La descrizione nel trattato di Frontino

Nel suo trattato De aquaeductibus urbis Romae Sesto Giulio Frontino ha lasciato una descrizione dettagliata dell’organizzazione del Curatore delle acque e dei corpi tecnici da lui dipendenti. Questa testimonianza è resa possibile grazie all’esperienza direttamente acquisita in questa magistratura, a cui Frontino è stato chiamato da Nerva per rimettere ordine.

Le due famiglie di fontanieri hanno compiti operativi e sono divise in varie classi di addetti: impiegati amministrativi, custodi dei dividicoli, ispettori, selciatori, intonacatori ed altri operai. Una piccola parte degli addetti è distaccata fuori Roma, per il servizio lungo le tratte extraurbane degli acquedotti che hanno una lunghezza complessiva di oltre 400 km. Il grosso degli addetti presta servizio a Roma e fa capo a numerose stazioni dislocate presso i dividicoli e gli edifici per gli spettacoli, dove sono anche custoditi strumenti e materiali. Oltre al servizio ordinario di manutenzione e gestione, le squadre dei fontanieri operano frequentemente a supporto del possente corpo dei pompieri romani (vigiles), costituito da Tiberio nel 6 d.C. in sette coorti di 7000 uomini. Essi hanno anche funzioni di vigilanza urbana, essendo gli incendi uno dei problemi più grandi della metropoli.
Ai vertici delle squadre di tecnici e operai ci sono gli architetti d’acque, figure professionali operanti anche presso i privati. Essi si sono affermati in parallelo all’espansione della rete degli acquedotti e hanno acquisito, col tempo, notevoli competenze tecniche. Queste figure rappresentano gli antenati degli architetti d’acque italiani, operanti nel Medioevo e nel Rinascimento grazie a conoscenze idrauliche empiriche e corroborate da secoli di esperienza.

Molto più snello è l’Ufficio del Curatore delle acque, dove si trovano funzioni tecniche (architetto), amministrative (scrivani e copisti) e di polizia (littori). Da Agrippa a Frontino si contano 18 Curatori, scelti fra le personalità più ragguardevoli della classe dirigente, con esperienze nelle più alte cariche dello stato. La scelta avviene secondo un cursus honorum, poiché, come nell’epoca repubblicana, la carriera militare è ancora importante. Dal Curatore, che ha grandi poteri – inclusi quelli di magistrato inquirente e giudicante – dipende in larga misura l’efficienza del pubblico servizio. Un curatore indolente porta il sistema a degenerare e a causare fenomeni di corruzione e assenteismo dei fontanieri.

È interessante notare come la lettura del trattato di Frontino introduca temi che richiamano in modo stupefacente i problemi dell’attualità. Tra le altre cose, per riportare la disciplina egli introduce l’obbligo degli ordini di servizio: “Un così gran numero di addetti di entrambe le squadre, che a causa del favoritismo o della negligenza dei capi era solito essere distratto per lavori privati, abbiamo stabilito di riportarlo a qualche disciplina e al servizio dello Stato in questo modo: stabilendo il giorno prima ciò che ciascuna squadra dovrà fare e registrando agli atti ciò che è stato fatto ogni giorno.”


  • Sesto Giulio Frontino. De aquae ductu urbis Romae