Le paludi pontine
Il territorio dell’Agro Pontino o Pianura pontina è una pianura in gran parte alluvionale delimitata ad ovest e sud dal mar Tirreno, a est dai primi rilievi appenninici dei monti Lepini ed Ausoni, a nord dal medio corso del fiume Astura e dai primi rilievi dei Colli Albani. Il territorio, un tempo coperto dalle paludi, è oggi bonificato.
L’epoca romana e il Medioevo
L’Agro pontino era già paludoso in epoca romana e i primi tentativi di bonifica sono testimoniati dal rinvenimento di un esteso sistema di drenaggio con cunicoli sotterranei, dotati di pozzi per bonificare il territorio pontino settentrionale.
Nel 204 a. C. il console Marco Cornelio Cetego fa scavare un canale parallelo alla via Appia (in seguito chiamato Rio Martino) per proteggere la via consolare dall’inondazione e dal dissesto.
Quando Cesare diviene imperatore concepisce il gigantesco progetto di divertire il Tevere verso l’Agro pontino fino a Terracina, prosciugando le paludi e nello stesso tempo procurando a Roma un porto più sicuro di Ostia. Dopo la sua morte il progetto sarà ridicolizzato in Senato da Cicerone.
Dopo la caduta dell’impero romano, nel 490 d.C. Teodorico consente al nobile Basilio Decio Cecina di iniziare a sue spese i lavori di prosciugamento, avendo in cambio la proprietà dei terreni bonificati: una formula, questa, che ricorrerà nei secoli, ma che risulterà sempre inefficace.
Nel Medioevo papa Bonifacio VIII fa costruire un canale per l’essiccamento, ma le acque, che si spostano nel territorio di Sezze, provocano aspre contese che dureranno fino al Cinquecento.
L’Agro pontino nel Cinquecento e Seicento
All’inizio del Cinquecento papa Leone X concede al fratello Giuliano de’ Medici la bonifica a proprie spese dell’Agro Pontino, in cambio della proprietà delle terre risanate. Dopo la sua morte gli abitanti di Terracina, pentitisi di aver ceduto il territorio riemerso, chiudono la foce del canale a Badino. Il nuovo papa Sisto V concepisce un piano generale di bonifica, che affida all’architetto Ascanio Fenizi di Urbino. Questi divide la palude in 20 zone e, trascurando il Rio Martino, sistema il Fiume Antico (detto poi Sisto) aumentandone la profondità ed aprendo uno sbocco in mare. Le terre sono liberate dalle acque, ma dopo il 1590 sono di nuovo inondate a causa degli errori progettuali di Fenizi e dei disordini nelle campagne.
Nel 1637, sotto Urbano VIII, una società olandese facente capo a Nicolò Cornelio de Witt subentra nei lavori di bonifica, che non inizieranno a causa della morte del concessionario. La Camera Apostolica proclama quindi un editto sulle Paludi Pontine per trovare qualcuno che prosegua i lavori.
Richiesto il suo parere dal governo pontificio, l’abate Benedetto Castelli visita i luoghi e suggerisce alcuni rimedi per assicurare una maggior capacità di deflusso: lo spurgo periodico dei canali, la rimozione di tutte le peschiere e l’arginatura del fiume Sisto.
Del problema si occupa anche l’abate Filippo Maria Bonini nel volume Il Tevere incatenato, nel quale suggerisce un sistema di canali colatori dopo la diversione delle acque sorgive, non prima di un prioritario ripopolamento del contiguo Agro romano.
La bonifica di Pio VI nel Settecento
Il primo programma efficace di bonifica si deve a papa Pio VI, che dopo la sua elezione nel 1775 approva un piano generale che si ispira alle esperienze della Maremma toscana guidate da Leonardo Ximenes. Superando l’approccio privatistico e localistico, le spese sono ripartite fra la Camera Apostolica e i proprietari secondo il criterio del beneficio, usato ancora oggi presso i consorzi di bonifica. Viene proposto di scavare un grande canale lungo la via Appia, navigabile fino a Terracina; il progetto è validato anche dall’idraulico bolognese Eustachio Zanotti.
I lavori iniziano nel 1777, con la demolizione di numerose peschiere e lo scavo del nuovo canale, chiamato Linea Pio in onore del pontefice. I lavori dureranno 20 anni, con l’impiego di migliaia di operai. Liberato il territorio dalle paludi, lo scolo delle acque piovane è assicurato attraverso piccoli canali chiamati Fosse Miliari, perché scavati a distanza di un miglio l’uno dall’altro. Con la rivoluzione francese i lavori subiranno un forte rallentamento.
Il piano di bonifica di Napoleone
Dopo l’annessione di Roma e del Lazio all’Impero francese, Napoleone programma grandi interventi per valorizzare la Città eterna e il suo territorio. Nel 1810 è nominata una commissione mista di esperti francesi e italiani. Tra i francesi c’è Gaspard De Prony, mentre gli italiani sono rappresentati dal bonificatore della Val di Chiana Vittorio Fossombroni.
Prony sostiene l’essiccazione e il risanamento e progetta la rete dei canali di scolo, a cui si oppone Fossombroni, il quale difende la bonifica per colmata mediante il lento apporto delle torbide dei torrenti locali. La commissione cercherà una soluzione di compromesso fra i due metodi, ma le guerre napoleoniche e le relative spese finiranno per bloccare le operazioni nelle Paludi Pontine. Anche nell’Ottocento, di fatto, prevarrà una sostanziale immobilità.
La bonifica integrale del Novecento
Nel 1918 sono costituiti due consorzi di bonifica, detti “di Piscinara” e “della Bonificazione pontina” e diretti dall’ing. Natale Prampolini, che diventano operativi nel 1923 e nel 1926. Dopo l’approvazione di una nuova legge sulla bonifica integrale, lo stato mette a disposizione i mezzi necessari per il compimento di questo complesso progetto. Tre grandi collettori di gronda sono costruiti e intercettano le acque alte (Canale Mussolini), le acque medie e le acque basse. Ad essi si aggiungono 3515 km di collettori secondari e terziari e 21 impianti idrovori. Si approfondisce l’alveo e si rinforzano gli argini dei laghi costieri, e si costruiscono quasi 1000 km di strade principali e 500 km di strade secondarie.
Nel 1931 un decreto di esproprio dei latifondi attribuisce all’Opera Nazionale Combattenti un primo lotto di 18.000 ettari. Vengono realizzati fabbricati colonici e sono costruite nuove città: Littoria (oggi Latina) nel 1932, Sabaudia nel 1934, Pontinia nel 1935, Aprilia nel 1937, Pomezia nel 1939. La popolazione sale rapidamente a 63.000 abitanti, in gran parte provenienti dal Triveneto e dall’Emilia-Romagna.