I paradori e i pennelli di Bernardino Zendrini
Bernardino Zendrini è uno dei massimi ingegneri idraulici del Settecento. Nel suo trattato Leggi e fenomeni, regolazione ed usi delle acque correnti il tema delle corrosioni e dei ripari è affrontato con un approccio moderno, e con particolari tecnici tratti dall’esperienza veneta.
Le forze attive sulle sponde dei fiumi e sui ripari
All’epoca di Zendrini è ormai accettato che la spinta dinamica dell’acqua contro una superficie immersa è proporzionale all’area della sezione e al quadrato della velocità della corrente. La spinta idrodinamica ha due componenti: una ortogonale e una tangenziale alla superficie interessata. Agli effetti della corrosione, la prima (forza d’urto frontale) è molto più pericolosa della seconda (forza di trascinamento). Nelle lunate, o svolte dei fiumi, dove il filone dell’acqua urta frontalmente la riva, si generano facilmente delle corrosioni. Quando il corso dell’acqua è parallelo alle rive, la componente ortogonale della spinta è nulla, ma anche qui si verificano le corrosioni degli argini, poiché la corrente, urtando contro le superfici scabre, produce dei vortici, il cui apice trivella il fondo e rovina la riva.
In tutti i disegni di Zendrini, la scala verticale della velocità (a cui è collegata la spinta dinamica) è disegnata in modo sbagliato: qui è un arco di parabola che aumenta verso il fondo del fiume (secondo la teoria dei foronomisti), mentre in realtà il minimo è sul fondo e il massimo poco sotto la superficie. All’epoca è ben noto, in Italia, il metodo per tracciare la curva esatta delle velocità verticali, mediante misurazioni con il pendolo o l’asta idrometrica. Essendo questo metodo molto costoso, per i calcoli correnti si preferisce l’uso speditivo della curva parabolica.
Zendrini approfondisce le modalità di formazione e azione dei vortici ad asse verticale, che si formano in prossimità di ostacoli con paramento verticale e si estendono a spirale conica dalla superficie dell’acqua verso il fondo, dove si trova l’apice del cono. Questo ha un effetto di trivellazione molto violento al piede dell’ostacolo verticale, e in particolare un riparo radente (paradore) o trasversale (pennello), da cui i vortici stessi hanno avuto origine.
Di tutte le forme di ripari, le più esposte al pericolo dei vortici sono le palificate, essendo verticali per natura. Questo è il principale motivo per cui Zendrini ne riduce al minimo l’uso. Critiche alle palificate sono già presenti in Geminiano Montanari e in Vincenzo Viviani. Zendrini osserva che la forza di penetrazione del vortice è collegata alla velocità dell’acqua lungo la spirale discendente ed aumenta con l’altezza. Di conseguenza, l’uso delle palificate è limitato e ammissibile solo in fiumi poco profondi. Nei fiumi grandi, come il Po e l’Adige, Zendrini sostituisce alle palificate le moli di gabbioni, citando l’ottimo risultato dei moli costruiti sul Po, a protezione della Coronella, e dei moli costruiti sull’Adige, nel sito delle pericolose corrosioni del Bertolino.
Forme e disposizioni dei pennelli
Zendrini presenta tre forme fondamentali di pennelli, formanti un angolo retto, acuto ed ottuso con la sponda verso monte. Variando l’inclinazione, a parità di lunghezza del pennello varia l’impedimento fatto alla corrente. Egli concorda con Michelini nel sostenere la razionalità dei pennelli triangolari a scarpa per prevenire la formazione di vortici, ma cerca un fondamento teorico più soddisfacente ipotizzando pennelli formati con pali piantati in due o tre linee, intersecati da altri in modo da formare spazi quadrati riempiti di sassi o altre materie pesanti. Suppone inoltre che i pali siano conficcati a distanza regolare, che siano ugualmente grossi e pesanti e che il terreno in cui sono conficcati sia resistente e orizzontale. I pali sono piantati con altezze decrescenti verso il mezzo del fiume, in modo da realizzare una scarpa. La velocità media della corrente aumenta dall’argine verso il mezzo del fiume, ma diminuendo l’altezza dei pali si riduce anche la superficie esposta all’urto della corrente. Si cerca una linea delle altezze dei pali tale che ciascuna parte del pennello possa resistere ugualmente all’urto, cosa che avviene quando la spinta dinamica dell’acqua rimane costante sulle singole parti.
Ripari costruiti con palificate
Zendrini studia la stabilità delle palificate per pennelli e paradori, come equilibrio fra la forza attiva esercitata dall’acqua sulla parte esterna della palificata e la forza passiva di resistenza, esercitata dalla terra sulla parte conficcata nel fondo. I due sistemi di forze agiscono sul palo in modo contrapposto con un effetto di leva; l’equilibrio si raggiunge quando il momento passivo è maggiore di quello attivo.
Zendrini confronta i pali verticali, costruiti secondo la tecnica corrente, con quelli di nuova concezione, secondo il suggerimento di Geminiano Montanari. Mentre sul palo verticale è attiva l’intera spinta dinamica, sui pali obliqui la velocità viene scomposta in due vettori, rispettivamente ortogonale e parallelo all’asse dei pali: solo la componente ortogonale è attiva per il rovesciamento.
Se si vuole aumentare la resistenza dei pali verticali, questi possono essere affiancati nella direzione della corrente, in modo che l’acqua urti il primo ma non il secondo. In teoria la resistenza è duplicata, ma nella pratica occorre fare i conti con la qualità del terreno, la grossezza dei pali e altri fattori. Un palo verticale può anche essere rafforzato con un altro palo obliquo, detto orbone.
Ripari costruiti con corpi gravi
Alle palificate Zendrini preferisce tipologie di difese che usano corpi gravi e sviluppano maggiore resistenza. Anche per questi ripari la verifica statica è accurata ed eseguita dividendoli schematicamente in parti parallelepipede. Zendrini affronta i problemi legati alle modalità pratiche di realizzazione dei ripari, che resistono alla corrente in base al loro peso. I corpi sciolti sono aggregati in prismi e volpare, che aggregano corpi sciolti minuti (sassi e ciottoli gli uni, terra le altre) per aumentare la resistenza alla corrente; oppure con murature in blocchi di roccia cementati, di cui Zendrini cita con orgoglio i Murazzi, le grandiose opere da lui realizzate per la difesa del lido di Venezia.
Per la costruzione dei ripari Zendrini utilizza anche le gettate di sassi sciolti e le scogliere di cantoni naturali (macigni) e artificiali (cantoni di smalto o calcestruzzo), già descritte da Vincenzo Viviani.
Costruzione dei ripari
Zendrini distingue fra difese radenti (paradori) e trasversali (pennelli). I paradori difendono direttamente l’arginatura dalla corrosione del fiume, i pennelli deviano le acque impedendo che feriscano il piede dell’argine.
All’epoca, la tecnica per la costruzione dei paradori è quella delle palificate. Nell’osservare che i pali sono quasi sempre scalzati dopo poco tempo e trasportati dalla corrente, egli individua due tipi di danno: il primo è lo scalzamento che la corrente induce nei pali conficcati nel fondo del fiume; il secondo sono i vortici, formati dall’acqua quando incontra resistenze verticali. Zendrini suggerisce di sostituire i pali con altri materiali, proponendo i cantoni di smalto di Viviani o i gabbioni riempiti con terra cretosa. Egli afferma di aver utilizzato per primo la tecnica dei gabbioni in vari siti e prevede così il superamento delle palificate.
Zendrini costruisce e loda i pennelli in forma di moli massicci, con gabbioni, volpare e a volte barche affondate.
Il tipico molo dell’idraulico veneto ha la forma di una piramide tronca, con la struttura concepita in modo da presentare superfici oblique alla corrente, per prevenire i temutissimi vortici ad asse verticale. Anche se la direzione del molo rispetto al corso d’acqua ed all’argine può essere varia, Zendrini ritiene che la migliore sia quella ad angolo retto, dirigendo, in alternativa, l’asse dei moli a seconda del fiume.
Se il fiume ha una profondità non superiore a otto-dieci piedi, i moli possono essere costruiti di soli gabbioni. Se ha maggior fondo, la loro ossatura può essere realizzata con barche piene di terra, affondate e poi sepolte tra i gabbioni collocati in modo da formare una piramide tronca. Queste strutture sono molto robuste e presentano soltanto qualche problema sulla punta. La tecnica di gettare i gabbioni in acqua si dice “annegare i gabbioni”, e Zendrini descrive il metodo usato per costruire un grande molo sul Po.