Il Reno e le Valli emiliano-romagnole

Il Reno è un fiume lungo 211 km che scende dall’Appennino pistoiese. Esso ha un andamento da nord a sud, per poi svoltare verso est e attraversare le province di Bologna, Ferrara e Ravenna, fino a raggiungere il mare Adriatico a sud delle Valli di Comacchio. Il Reno ha numerosi affluenti, tra cui Lavino, Samoggia, Dosolo, Idice, Sillaro, Santerno, Senio. A nord è collegato col Po Grande attraverso il Cavo napoleonico, da Dosso di S. Agostino a S. Biagio di Bondeno; esso comunica anche col Po di Volano, utilizzando un tratto detto Po morto di Primaro. L’attuale conformazione è il frutto di un lavoro di sistemazione idraulica e di bonifica della vastissima area paludosa delle Valli emiliane e romagnole. Questo grandissimo sforzo si è sviluppato nei secoli, attraverso discussioni e contese fra le città di Bologna e Ferrara che hanno coinvolto i principali idraulici italiani. Storicamente, la questione del Reno è considerata fondativa della scuola idraulica italiana.

L’antico disordine idraulico delle valli emiliano-romagnole

A causa delle pendenze insufficienti, la pianura compresa fra Bologna, Ravenna e Ferrara ha grandi difficoltà di scolo fino all’età moderna, che portano alla formazione di ampie paludi – dette Valli – il cui ultimo residuo sono le Valli di Comacchio. Questa situazione è aggravata dalla pensilità del Po nel tratto terminale, poiché le arginature ostacolano la colatura delle campagne adiacenti. A questo si aggiungono le periodiche rotte del Po, una delle quali, quella di Ficarolo, ha conseguenze devastanti.

Fino al XII secolo il Po passa sotto le mura di Ferrara e, poco a valle, si divide nei rami di Volano e di Primaro, che sfociano in Adriatico. La rotta di Ficarolo, a monte di Ferrara, crea un nuovo alveo detto Po Grande o di Venezia, che scorre a settentrione della città estense. Questo alveo ha un percorso più breve fino all’Adriatico e una portata crescente nel tempo, che sottrae all’altro ramo. Le condizioni di navigabilità del Po di Ferrara peggiorano progressivamente, causando non pochi problemi all’economia del ducato. Questo ramo del Po ha infatti una grande larghezza e una modesta pendenza, per cui, diminuendo la portata e la velocità, aumentano i depositi delle alluvioni. Dopo Ficarolo, nel Po di Ferrara continuano ad entrare le acque del Panaro, e in seguito i bolognesi e i romagnoli otterranno la concessione d’introdurre altri corsi d’acqua torrentizi che attraversano le Valli. Verso la fine del Cinquecento, la navigazione da Ferrara al mare è gravemente compromessa e forte è la pressione dei ferraresi per ripristinarla.

Il piano di Giambattista Aleotti e quello di Clemente VIII

Dopo la partenza degli Estensi e l’annessione del Ducato di Ferrara allo Stato pontificio, Clemente VIII è disponibile a farsi carico delle ragioni dei ferraresi, esposte nel memorabile discorso di Giambattista Aleotti Dell’interrimento del Po di Ferrara. Questo discorso rivela sentimenti profondi e risentimenti verso la città di Bologna, ritenuta responsabile del disastro, alimentando così un’interminabile contesa mediata dal potere pontificio. Aleotti espone un progetto articolato, che prevede la diversione dei fiumi appenninici a ridosso delle paludi, verso l’Adriatico: il Reno sarebbe entrato nel Po di Primaro, mentre il Sillaro, il Senio, il Santerno e il Lamone sarebbero confluiti in un nuovo alveo. Così riordinate, le Valli sarebbero state messe in comunicazione fra loro.

Clemente VIII, nel 1604, sceglie una strategia diversa: i fiumi appenninici sono deviati provvisoriamente dal Po di Ferrara nelle Valli, tentando di richiamare nell’alveo di quest’ultimo una frazione consistente della portata del Po di Venezia. Questa scommessa fallirà e renderà permanente una diversione che doveva essere solo temporanea. Essa non soddisferà i bolognesi neppure sotto il profilo della bonifica per colmata delle Valli, che è disordinata e provoca estensioni progressive delle paludi a danno di terreni già bonificati. A questo proposito si rimanda al capitolo XIII del trattato Della natura de’ fiumi di Domenico Guglielmini.

Visita di mons. Corsini e confronto scientifico fra Castelli e Cabeo

Il malcontento dei bolognesi fa concepire loro una nuova strategia che mira ad introdurre il Reno nel Po Grande, assieme al Panaro. Temendo inondazioni da nord, a questa si opporranno ancora i ferraresi, che propongono in alternativa un nuovo recapito autonomo del Reno in Adriatico a sud delle Valli di Comacchio, lontano dal loro territorio, secondo la strategia già concepita da Aleotti. Nel 1625 si svolge la visita della delegazione papale presieduta da Monsignor Ottavio Corsini, accompagnato da Benedetto Castelli, che sposa la tesi dei bolognesi.

Particolare di una pagina tratta dal volume "Scritture in materia del Reno", nella quale sono evidenti le opinioni dei bolognesi e dei ferraresi

Particolare di una pagina tratta dal volume Scritture in materia del Reno, nella quale sono evidenti le opinioni dei bolognesi e dei ferraresi.

Il prestigio di Castelli induce mons. Corsini ad aderire al suo pensiero, e così nel 1628 Urbano VIII ordina l’introduzione del Reno nel Po. Questa vicenda è all’origine di un confronto fra Benedetto Castelli e il ferrarese Nicolò Cabeo: per la prima volta le “questioni d’acque”, in precedenza trattate soltanto dagli ingegneri-architetti, diventano oggetto di un dibattito scientifico, anche se le decisioni prese saranno indubbiamente criticabili e contraddittorie.
La diversione del Reno non viene attuata a causa della tenace resistenza di Ferrara e degli stati confinanti, che riescono a bloccare il progetto. La questione si trascina fino alla fine del Seicento con interventi puntuali, che non cambiano la situazione idrografica generale.

Visita dei Card. D’Adda e Barberini

Nel 1692 il Papa Innocenzo XII invia una nuova delegazione agli ordini dei Cardinali Ferdinando D’Adda e Francesco Barberini. Vengono confrontati cinque progetti: 1. Introduzione del Reno nel Po Grande, 2. Diversione del Reno dal Trebbo allo sbocco in mare del Savio, 3. Introduzione del Reno nel Po di Primaro, 4. Introduzione del Reno nel Po di Volano, 5. Diversione del Reno di valle in valle, attraverso un nuovo alveo fino al mare.
I Bolognesi sostengono la prima tesi e sono favoriti dal sostegno di Domenico Guglielmini, il quale produce una cinquantina di documenti che possono essere suddivisi in due gruppi: alcuni valutano analiticamente i cinque progetti proposti; altri rispondono agli scritti degli avversari, in una contrapposizione serrata di argomentazioni. Grazie a questo eccezionale avvocato la causa bolognese prevarrà, ma anche questa volta i lavori sono bloccati dall’ostruzionismo dei ferraresi.

Visita di mons. Rivera e confronto fra Grandi, Manfredi, Zendrini

Su istanza degli spazientiti bolognesi, nel 1715 si riapre la vertenza. L’anno successivo avviene un’altra visita agli ordini di Monsignor Domenico Riviera, che è assistito, nella veste di neutrale matematico pontificio, dall’abate Guido Grandi. Le ragioni dei bolognesi sono sostenute dai fratelli Eustachio e Gabriello Manfredi, mentre quelle dei ferraresi da Bernardino Zendrini. Grandi, come un secolo prima Castelli, dà ragione ai bolognesi, i quali nel 1718 risultano ancora una volta vincitori.

Il contrattacco di Ferrara è immediato e coinvolge l’Austria e i due Ducati autonomi di Modena e di Parma, che temono l’insufficienza dell’alveo del Po Grande dopo la progettata immissione del Reno, con rigurgiti a monte. Intervengono i matematici Domenico Corradi D’Austria per il Duca di Modena, e Giovanni Ceva e Doriciglio Moscadelli per l’Impero. La visita si svolge dal 1719 al 1720 nel tratto da Pavia fino a Lagoscuro, e la coalizione avversa ai bolognesi finisce per prevalere. Sconfortato, Eustachio Manfredi scriverà a più riprese alla Reale Accademia delle Scienze di Parigi sulle questioni della vertenza italiana. Gli effetti di questa corrispondenza si sentiranno durante l’occupazione napoleonica.

Topografia e idrografia del Reno

Illustrazione della topografia e dell’idrografia del Reno, presente nel volume Progetto col quale s’espone alla sacra Congregazione dell’acque il modo di condurre il Reno unito agli altri torrenti al mare.

Il dibattito verso la metà del Settecento: Frisi, Perelli, Ximenes, Lecchi

Nel 1740 Benedetto XIV (bolognese d’origine) decide di costruire un canale per scolare le acque delle valli del Poggio e di Malalbergo nel Primaro, raccogliendo anche quelle dell’Idice. Progettato da Gabriello Manfredi e lungo circa 30 km, esso viene chiamato Cavo Benedettino in onore del Papa. Il problema della bonifica assume così un carattere pubblico, con l’istituzione di un’apposita Congregazione delle Acque.
A seguito dell’interramento del Cavo benedettino, nel 1760 la discussione si riaccende e coinvolge nuovamente i massimi idraulici dell’epoca – Paolo Frisi, Tommaso Perelli e Leonardo Ximenes – nel confronto fra quattro diverse linee d’inalveazione. Intervengono anche due matematici francesi, i francescani Tommaso Le Seur e Francesco Jacquier.

Per chiudere la questione, nel 1765 Clemente XIII crea una nuova commissione di periti costituita dal milanese Antonio Lecchi, dal veneto Tommaso Temanza e dal toscano Giovanni Verace. A nome dei colleghi Lecchi stende la Relazione della visita alle terre danneggiate dalle acque di Bologna, Ferrara, e Ravenna. Nel 1767 è approvato il piano del gesuita milanese, che prevede l’inalveamento del Reno dalla Rotta Panfilj al cavo Benedettino, da riscavare e riattare, e l’arginatura destra del Po di Primaro fino al Fosso vecchio Ravegnano. Direttore dei lavori è lo stesso Lecchi, che per quasi sei anni guida una cospicua manodopera. Il piano si amplia nel 1768-69 per tener conto degli interessi bolognesi, e include le bonifiche per colmata, la sistemazione dell’Idice e la sua unione con la Savena nei pressi di Bologna.

Il progetto originale di Lecchi prevede la separazione delle acque alte dei fiumi arginati, da convogliare tutte nel Po di Primaro, dalle acque basse piovane e vallive, da convogliare in un canale indipendente a destra del Po di Primaro, con sbocco in Adriatico e sottopassante i torrenti appenninici. Questo secondo canale avrebbe consentito di essiccare totalmente le Valli, ma non è realizzato per carenza di fondi. Il problema sarà risolto nel Novecento.
Rispetto alla visione di Aleotti, nel progetto di Lecchi le Valli diventano un elemento da eradicare. Non tutti, però, la pensano allo stesso modo: negli stessi anni Leonardo Ximenes ritiene opportuna la parziale conservazione degli stagni costieri. Nell’insieme, fino all’Ottocento, la scuola idraulica italiana sarà più naturalistica che fisico-matematica.

La sistemazione del primo Ottocento: Venturoli, Bonati e Prony

Con l’avvento di Napoleone e del nuovo stato nell’Italia settentrionale, nel 1802 è costituita una Commissione, che si riunisce a Modena, per discutere i problemi idraulici nel bacino del Po, fra cui quello del Reno. I bolognesi tornano all’attacco, chiedendo di alleggerire le piene del Reno con uno scolmatore nel Po. A quell’epoca possono contare sul brillante e giovane Giuseppe Venturoli. I ferraresi si oppongono con l’anziano Teodoro Bonati, che si batte come un leone nonostante il clima sfavorevole. Sui problemi idraulici del Regno d’Italia, Napoleone ascolta soprattutto il suo ingegnere di fiducia Gaspard Marie Riche de Prony, membro di quell’Accademia delle Scienze di Parigi da tempo orientata a favore dai bolognesi, grazie alle relazioni inviate da Eustachio Manfredi nel Settecento. Nel 1805 si decide così di collegare il Reno al Po Grande.

La costruzione dello Scolmatore del Reno, o Cavo Napoleonico, è avviata nel 1807 e sospesa nel 1814 alla caduta di Napoleone, ma nel Novecento il progetto viene ripreso. Oggi l’ampio alveo è in grado di far defluire le acque in entrambe le direzioni e ha la doppia funzione di scolmare il Reno o il Po in caso di piena e derivare dal Po una portata per uso irriguo nei periodi estivi, tramite un collegamento con il Canale Emiliano-Romagnolo.
Si può quindi concludere che, storicamente, entrambe le città contendenti abbiano visto, anche se in misura diversa, riconosciute le loro ragioni.


  • Giovanni Antonio Lecchi. Relazione della visita alle terre danneggiate dalle acque di Bologna, Ferrara e Ravenna
  • Eustachio Manfredi. Sopra le pretese variazioni seguite nel Reno e nel Panaro e nel Po’ dopo l'anno 1693
  • Giacomo Mini. Ragioni della città di Ferrara nella controversia vertente avanti la Sacra Congregazione dell'acque con gli signori sindaci della Gabella Grossa di Bologna
  • Tommaso Perelli. Risposta sopra i diversi progetti per il regolamento delle acque delle tre provincie di Bologna, Ferrara e Romagna
  • Progetto col quale s'espone alla sacra Congregazione dell'acque il modo di condurre il Reno unito agli altri torrenti al mare
  • Bernardino Zendrini. Giustificazione de fatti prodotti nell'Articolo 2. delle ragioni per escludere il progetto di unire Reno al Po’ di Lombardia
  • Raccolta di varie scritture, e notitie concernenti l'interesse della remotione del Reno dalle Valli fatta in Bologna l'anno 1682
  • Paolo Frisi. Piano de' lavori da farsi per liberare, e assicurare dalle acque le provincie di Bologna, di Ferrara, e di Ravenna
  • Giovanni Benedetto Ceva. Ragioni contra l'introduzione del Reno nel Po’ grande
  • Leonardo Ximenes. Terza memoria idrometrica
  • Leonardo Ximenes. Quarta memoria idrometrica
  • Scritture in materia del Reno