Corrosioni e ripari
Il tema delle corrosioni fluviali e dei ripari è uno dei più importanti sviluppati dalla scuola idraulica italiana nel corso dei secoli. Dalla fine del Quattrocento all’inizio dell’Ottocento si trovano contenuti significativi negli scritti di autori tra loro molto diversi. Alcuni sono essenzialmente uomini di scienza che praticano anche l’ingegneria idraulica, altri sono ingegneri o architetti d’acque che associano le conoscenze teoriche a quelle empiriche. Altri ancora sono ingegneri o architetti prevalentemente operativi o cultori per diletto dell’idraulica.
Il secolo storicamente più fecondo è il Seicento, perché segna la transizione dalle pratiche empiriche all’approccio scientifico, ossia alla nascita dell’idraulica fluviale come scienza. Secondo Giulio De Marchi , “accanto all’idraulica che si chiama matematica e che noi preferiamo chiamare fisica, esiste un’idraulica naturale che procede con metodi propri, appoggiandosi quasi esclusivamente all’osservazione e all’esperienza, e richiede, in chi se ne occupa, piuttosto le doti di intuito, proprie al naturalista o al medico che le attitudini deduttive, caratteristiche del matematico”
. Questa “idraulica naturale” è appunto l’idraulica fluviale e nasce in Italia con i grandi trattati di Barattieri, Michelini e Guglielmini. Essa è basata sull’equilibrio dinamico tra forze attive e forze resistenti, un equilibrio che condiziona ogni aspetto della morfologia fluviale. Con stupefacente rapidità, in mezzo secolo l’idraulica fluviale italiana raggiunge un vertice che rimarrà a lungo insuperato.
La fondazione dell’idraulica fluviale come scienza ha portato alla formazione di un nuovo modo di concepire il fenomeno della corrosione e dei ripari. Questo sviluppo scientifico si afferma con non poche difficoltà: alcuni tecnici si dimostrano restii ad aggiornarsi, mentre illustri architetti impongono criteri costruttivi poveri di conoscenze effettive dei processi fluviali. Rappresentano esempi in questo senso l’erezione di panoramici muraglioni come difese passive delle sponde corrose. Questi muraglioni non rimuoveranno le cause della corrosione, e presto soccomberanno alle insidiose forze dell’acqua.
Dalle difese passive alle difese attive
L’effetto più rilevante delle nuove conoscenze sull’idraulica fluviale è il netto spostamento strategico dalle difese passive, costituite da opere radenti (paradori), alle difese attive, ossia ai ripari trasversali (pignoni o pennelli), che consentono di deviare la corrente e rimuovere la causa dei dissesti. Una teoria completa dei pignoni è già presente in Michelini, ma lo sforzo per migliorare la teoria e la pratica di questi manufatti tipicamente italiani continua per tutto il Settecento. Le soluzioni drastiche per risolvere i problemi della corrosione (come i drizzagni) sono residuali e sempre più criticate. Gli ingegneri ferraresi arrivano addirittura a non ostacolare la corrosione, ben sapendo che questa tende ad esaurirsi e a formare una curva stabile; avendo terreno disponibile basterà invece difendersi dalle inondazioni con nuovi argini arretrati.
Nel complesso, emerge uno spiccato naturalismo della scuola idraulica italiana nell’affrontare il tema delle corrosioni fluviali e dei ripari. Prima di prendere qualsiasi decisione gli idraulici dell’epoca sviluppano una complessa analisi dei fattori in gioco nell’equilibrio fluviale. Oggi questo approccio non è più abituale, perché molti ingegneri pensano che la conoscenza astratta, da una parte delle tecnologie (comprese quelle della cosiddetta ingegneria naturalistica) e dall’altra delle formule matematiche, esima dalla necessità di una comprensione approfondita dei processi naturali locali. D’altra parte, se è vero che l’approccio tradizionale dell’idraulica fluviale italiana, come in tutte le scienze naturali, è prevalentemente qualitativo, va evidenziato che esso si basa sull’attenta considerazione delle forze in gioco (attive e passive) nei processi generali e locali. Sono inoltre presenti forme di calcolo che, entro certi limiti, riconducono a quelle attuali.
I calcoli statici
I concetti fondamentali della statica e della dinamica idraulica si sviluppano nell’ambito di una discussione di livello europeo. Per la statica, la maturazione avviene già verso la metà dei Seicento, mentre più lungo è il processo di definizione della spinta idrodinamica (detta percossa) sulle superfici immerse, sulle sponde corrose e sui ripari investiti dal filone della corrente, formandosi due partiti scientifici che ipotizzano la proporzionalità di tali forze rispettivamente al prodotto della massa per la velocità ed al prodotto della massa per il quadrato della velocità della corrente. Quest’ultima è la tesi corretta e prevale solo all’inizio del Settecento. A lungo la percossa viene espressa come il prodotto di una costante di proporzionalità ignota per la sezione e il quadrato della velocità media della corrente, che la genera (in sostanza la quantità di moto nell’unità di tempo della corrente). Gli idraulici utilizzano ingegnose proporzioni, che consentono di ignorare la detta costante, attraverso i rapporti tra le forze, come avviene per il pendolo idrometrico di Guglielmini.
Oltre alla percossa, gli idraulici italiani dedicano grande attenzione ai vortici, un’altra forza locale corresponsabile di molti dissesti delle ripe e dei ripari, che trivella il fondo al piede dei paramenti verticali. La forza del vortice ad asse verticale viene collegata all’altezza e al quadrato della velocità media della corrente, che lo genera, con valutazioni empiriche non lontane dalla realtà, pur in assenza di misure sperimentali. Anche in quel caso si stabiliscono proporzioni attraverso rapporti fra le forze in gioco.
Notevole è lo studio nel dettaglio delle forze vive, che agiscono sulla sponda corrosa e sui ripari, considerando correttamente la variazione della velocità dei filetti nel piano orizzontale e componendo il moto riflesso dai pennelli con quello diretto oltre i pennelli stessi. Al contrario, la ripartizione della velocità dei filetti nel piano verticale risente spesso dell’impostazione erronea dei foronomisti, che ipotizzano una scala parabolica con vertice sopra il pelo dell’acqua e velocità massima sul fondo del corso d’acqua. Questa curva fornisce una velocità media non molto diversa da quella reale: capovolgendo la parabola, ossia ponendo il vertice sul fondo, si ottiene infatti una scala verticale delle velocità più simile a quella reale.
L’equilibrio dei ripari è verificato confrontando forze attive e resistenti, con metodi empirici adattati alle caratteristiche delle fondamentali categorie di manufatti, per esempio il principio della leva per le palificate. Nell’insieme, questo approccio consente di supplire alla carenza di dati sperimentali, progettando interventi che perseguono e spesso ottengono l’armonia con le leggi naturali e la proporzione tra le singole parti dei manufatti.
La ricchezza delle tecniche utilizzate
Un aspetto sorprendente è la grande varietà dei materiali, dei prefabbricati e dei manufatti realizzati per i ripari contro le corrosioni, nonché la possibilità di scegliere tra diverse soluzioni. Già nel Seicento l’ingegnere idraulico italiano ha un ampio spettro di conoscenze tecniche e scientifiche e sa scegliere tra diverse tipologie di ripari per le sponde. Egli è in grado di valutare le caratteristiche del corso d’acqua, le esigenze più o meno immediate di difesa del territorio e le modalità di costruzione e manutenzione. Per ogni intervento non esiste una sola categoria di opere e la scelta non appare troppo condizionata da fattori socio-economici, spesso sopravvalutati, come la numerosa manodopera a buon mercato (ma spesso poco istruita) e l’obbligo ad utilizzare materiali poveri d’origine locale. Vincenzo Viviani evidenzierà un dibattito tra diverse scuole di pensiero e l’emergere precoce di forme di sistemazione moderne, accanto ad altre più tradizionali.
Particolare interesse rivestono, in questo contesto, quelle opere oggi chiamate d’ingegneria naturalistica, che utilizzano vegetali vivi e spesso associati a materiali inerti per la costruzione dei ripari delle sponde. Quasi tutti gli autori forniscono indicazioni su queste tipologie di manufatti. Molti di loro sono consapevoli dei pregi e dei limiti tecnici di queste opere, spesso ubicate in contesti difficili. C’è anche chi, come il bresciano conte Bettoni, sostiene con entusiasmo la superiorità delle sistemazioni con i vegetali vivi. Nel complesso, tra Seicento e Settecento emerge una sorprendente attualità della tradizione idraulica italiana dei ripari, che merita di essere portata all’attenzione della critica in relazione al moderno dibattito sull’ingegneria naturalistica, le cui radici storiche sono molto più profonde di quanto si pensi.
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Domenico Guglielmini. Della natura de' fiumi, trattato fisico-matematico
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Famiano Michelini. Trattato della direzione de' fiumi
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Francesco Maria Onorati. Apologia per la passonata fatta sopra il Tevere fuora di Porta del Popolo in difesa della Strada Flaminia
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Francesco Bernardino Ferrari. Delle corrosioni de' fiumi
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Andrea Bina. Ragionamento sopra il quesito qual sia il metodo più sicuro, più facile, e meno dispendioso tanto nell'esecuzione, che nella manutenzione, per impedire, e riparare la corrosione delle ripe de' fiumi arginati