Della misura dell’acque correnti

Benedetto Castelli

Benedetto Castelli è il fondatore della scienza idraulica moderna, che nasce a partire dal tema cruciale dell’idrometria. Questa disciplina è da lui impostata su nuove basi rigorosamente matematiche nel trattato Della misura dell’acque correnti.

La decisione di pubblicare il trattato viene presa da Castelli dopo la missione con monsignor Corsini nel 1625, per dirimere la vertenza fra Bologna e Ferrara sulla diversione del fiume Reno. Il 1° libro del trattato, pubblicato a Roma nel 1628, ha per oggetto fondamentale la legge di continuità e la stessa definizione del concetto di portata, come prodotto della sezione per la velocità della corrente. E’ lo stesso autore ad affermare di avere avuto l’intuizione fondamentale di questa legge in gioventù, osservando il sistema dei canali irrigui bresciani. Il 2° libro del trattato ha una gestazione ancor più lunga, perché è ultimato soltanto poco prima della morte di Castelli e pubblicato postumo nel 1660. Questa lunga gestazione si deve all’incertezza dell’autore e degli allievi sulla legge (oggetto delle sue ricerche negli ultimi anni di vita) che regola la scala delle velocità nei corsi d’acqua.

I contenuti dei due libri del trattato

Il 1° libro è diviso in due parti: la prima, di carattere divulgativo, è rivolta ai tecnici privi di una solida preparazione matematica (“quelli, che non hanno mai applicato il pensiero a studi di geometria”) e procede per via qualitativa, attraverso esempi ed esperienze. La seconda parte è riservata a quei matematici che conoscono almeno i primi sei libri d’Euclide e siano in grado di seguire il procedimento geometrico-deduttivo, utilizzato per la dimostrazione della legge di continuità. Le due parti convergono sull’obiettivo di affermare la suddetta legge, che poi sarà detta 1a legge di Castelli. L’impostazione didattica, ricca di parti discorsive semplici e chiare, facilita la rapida diffusione del trattato. La lettura attenta della prima parte consente oggi di rintracciare principi interessanti, che vanno oltre la legge di continuità, come l’introduzione al raggio idraulico e al coefficiente di scabrezza. Non mancano metodi empirici per regolare le portate delle fistole e delle bocche d’erogazione delle portate.

Il 2° libro del trattato è dedicato alla scala delle velocità dei corsi d’acqua, che lega la velocità media all’altezza delle acque. Il libro esce postumo nel 1660, per i molti dubbi dell’autore sulla dimostrazione matematica di una legge, nota come la 2a legge di Castelli, da lui già ricavata in via sperimentale (e peraltro inesatta) che vede la proporzionalità tra la velocità e l’altezza. Una parte degli idraulici italiani, in mancanza di meglio, rimarrà fedele all’ipotesi di Castelli (per ultimo, Francesco Mengotti in Idraulica fisica e sperimentale). Tuttavia, in tutta Europa la maggior parte degli scienziati se ne distaccherà già nella seconda metà del Seicento, applicando anche alle correnti negli alvei la legge di Torricelli, che vede la proporzionalità tra la velocità e la radice quadrata dell’altezza. Entrambe le ipotesi si rivelano errate e per molto tempo il metodo più sicuro utilizzato dagli idraulici italiani per calcolare la portata sarà quello delle misure dirette con appositi strumenti (i tachimetri idraulici), inventati in gran numero in Italia. Si consideri che la legge del moto uniforme sarà definita sul piano teorico soltanto alla fine del Settecento (Chezy, Du Buat) ed integrata con corretti coefficienti di scabrezza alla metà dell’Ottocento (Darcy, Bazin).

Nel 2° Libro del trattato sono contenute anche alcune interessanti indicazioni tecniche, finalizzate a sviluppare metodi per la misura diretta delle portate dei canali e dei corsi d’acqua. Castelli concepisce un manufatto speciale che chiama regolatore, e che rappresenta il prototipo dei moderni modellatori. Si determina la portata che passa per il regolatore, attaccando sopra lo stesso tre, quattro o cinque canne ritorte, o sifoni e registrando la quantità d’acqua che esce da ciascun sifone nell’intervallo di 20 minuti secondi, misurato con il pendolo. Castelli raccomanda in particolare il suddetto metodo alla ripartizione delle acque irrigue in Lombardia, per porre rimedio alle frequenti contese che possono sfociare in guerre aperte.

I dibattiti intorno al trattato di Castelli

Il trattato di Castelli viene tradotto in altre lingue e il suo nuovo approccio matematico e sperimentale all’idraulica diventa in Europa la base incontrovertibile di tutti gli sviluppi successivi.
Sul piano storico è interessante il dibattito retrospettivo, tutto italiano, sul primato di questo trattato nella definizione del concetto di portata, come prodotto della sezione per la velocità e della conseguente legge di continuità. Nel suo De aquis et aquaeductibus veteris Romae Raffaele Fabretti afferma polemicamente che Castelli ha usurpato una gloria non sua, poiché questa dottrina già si troverebbe nel trattato De aquaeductibus urbis Romae di Sesto Giulio Frontino. Il marchese Giovanni Poleni, nel volume Del moto misto dell’acqua, difende il primato di Castelli, anche se egli stesso, nel suo approfondito studio critico, evidenzia che Frontino, pur misurando le quantità d’acqua in base alla sezione, non ignora l’effetto della velocità e tende ad effettuare le sue misure in sezioni caratterizzate da velocità intermedie fra gli estremi, alla ricerca di un’ideale velocità media.

Dopo la lettura diretta e il commento dei codici leonardeschi da parte di Giovanni Battista Venturi e la pubblicazione del codice Del moto e della misura delle acque, nell’Ottocento si accende in Italia un’altra polemica sul presunto e romanzesco plagio di Leonardo da parte di Castelli. Questa tesi è avanzata da Elia Lombardini e si concluderà solo nel Novecento con Filippo Arredi, che escluderà ogni ipotesi di plagio.


  • Raffaele Fabretti. De aquis et aquaeductibus veteris Romae
  • Sesto Giulio Frontino. De aquae ductu urbis Romae
  • Giovanni Poleni. De motu aquae mixto