Della natura de’ fiumi
Domenico Guglielmini
Domenico Guglielmini è forse il più grande e certamente il più originale scienziato idraulico italiano. Egli lega in modo razionale tutte le conoscenze sull’idraulica fluviale con un approccio medico-naturalistico e un atteggiamento che – per usare la sua stessa espressione – “anatomizza” l’alveo dei fiumi. Questo suo impegno, in un decennio intenso di osservazioni e applicazioni sull’idraulica fluviale, gli consente di realizzare il suo capolavoro: il trattato fisico-matematico Della natura de’ fiumi, con il quale fonda un nuovo ramo della scienza idraulica. Il suo metodo di lavoro rimane ancora oggi esemplare, e lascia al lettore ampi spazi d’adattamento ai casi particolari delle leggi generali. Nella storia dell’idraulica, il trattato di Guglielmini rimane a lungo insuperato, essendo oggetto di studio da parte di numerose generazioni di scienziati e ingegneri italiani. Fuori dall’Italia rimarrà invece poco compreso e apprezzato.
Il trattato di Guglielmini affonda le proprie radici nella cultura italiana e non è il frutto di un genio isolato. Egli stesso riconosce l’importanza dei precedenti trattati di Giambattista Barattieri (Architettura d’acque) e Famiano Michelini (Trattato della direzione de’ fiumi). Guglielmini riconosce inoltre che i pochi progressi fatti dalla fisica idraulica sono dovuti all’attenzione di coloro – come Castelli e Torricelli – che hanno saputo applicare a loro vantaggio le regole della geometria e della meccanica. Egli prende anche le distanze dai matematici, affermando che, per amore della perfezione astratta e al contrario dei fisici, sono spesso infastiditi e trascurano la complessità del reale.
I contenuti del trattato
Il trattato Della natura de’ fiumi è diviso in 14 capitoli. I primi quattro contengono le definizioni e le nozioni preliminari sull’equilibrio dei fluidi, sulle origini delle sorgenti e dei fiumi, sulla denominazione delle varie parti di un fiume e sul principio del moto nelle acque correnti secondo la legge di gravità. Nel capitolo 4, è particolarmente importante la concezione – sia pure in termini qualitativi – del moto uniforme come equilibrio fra le forze attive e quelle passive, legate rispettivamente alla gravità dell’acqua e alla resistenza dell’alveo. La legge matematica del moto uniforme verrà scoperta soltanto alla fine del Settecento dai francesi Antoine Chézy e Pierre du Buat, ripetendo esattamente il ragionamento di Guglielmini.
Il capitolo 5 ha un’importanza centrale, perché l’autore rappresenta l’alveo come il risultato dell’equilibrio tra varie forze e resistenze, equilibrio che può turbarsi momentaneamente ma viene ristabilito a poco a poco per una tendenza permanente in tutti gli alvei verso tale stato. Questa concezione consentirà in seguito alla scienza idraulica di progredire anche nella teoria del movimento, ma viene sviluppata da Guglielmini in linea pratica per ricavare importanti osservazioni sulla morfologia degli alvei. Il capitolo 6 tratta secondo lo stesso principio fisico, ossia l’equilibrio tra forza e resistenza, la direzione che prendono gli alvei dei fiumi
Il capitolo 7 è dedicato al movimento delle acque e rappresenta il capitolo più debole. Nonostante gli sforzi Guglielmini ha difficoltà a trovare una conferma generale all’ipotesi di una legge parabolica, che leghi velocità e radice quadrata dell’altezza, già formulata nel precedente trattato Della misura dell’acque correnti (1690). In base a questa ipotesi, Guglielmini giunge comunque a formulare una scala parabolica della velocità media e ad applicata nella famosa contesa con Ferrara per l’introduzione del Reno nel Po Grande.
I capitoli 8 e 9 trattano argomenti simili, nei quali è introdotto il rigurgito. Il capitolo 10 discute la problematica delle piene, confrontando i fiumi piccoli con quelli grandi. Il capitolo 11 presenta i piccoli canali di scolo delle campagne. Il capitolo 12 tratta i canali di derivazione e in particolare quelli navigabili, un argomento che sarà in seguito trattato con successo anche da altri autori italiani. Nel capitolo 13, Guglielmini si occupa del prosciugamento delle paludi e illustra due metodi: l’essiccazione mediante canali e l’alluvione, ossia la colmata con le materie solide trasportate dai corsi d’acqua e che può essere effettuata a fiume aperto o regolata. Infine il capitolo 14 contiene indicazioni sui difficili progetti di mutamento dell’alveo dei fiumi.
L’eredità dell’opera di Guglielmini
In Europa, il trattato Della natura dei fiumi è inizialmente accolto con ammirazione. Goffredo Leibnitz, che è amico di Guglielmini, scrive a Giovanni I Bernoulli consigliandogli di leggerlo per iniziare studiare il moto delle acque. Fontenelle, nel volume Eloge de M. Guglielmini, lo considera come il capo d’opera dello scienziato italiano e scrive che, dopo la sua lettura, gli scienziati dell’epoca devono confessare di non conoscere affatto la materia. Tuttavia la scuola idraulica francese, che segue un’impostazione rigorosamente matematica, non ama e non comprende Guglielmini. Charles Bossut ne dà una lettura alquanto superficiale e fuorviante, scrivendo che la sua dottrina vale solo per i corsi d’acqua locali. In Francia la tematica dell’idraulica fluviale con il metodo di Guglielmini sarà affrontata seriamente soltanto due secoli dopo, da Louis Fargue negli studi sulla Garonna. Ricordando i principi fondamentali per la sistemazione dei corsi d’acqua enunciati da Guglielmini, Giulio De Marchi scriverà nel suo magistrale trattato: “poco ad essi hanno saputo aggiungere i due secoli e mezzo ormai trascorsi da quando il trattato vide la luce”
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In Italia, il trattato di Guglielmini viene più volte ripubblicato fino all’inizio dell’Ottocento. Nel 1739, il suo allievo e successore alla cattedra di Bologna Eustachio Manfredi cura un’edizione critica, con un apparato consistente di note esplicative e aggiuntive. Questa edizione sarà ristampata in tutte le collane di “Autori che trattano del moto dell’acque”, pubblicate a Firenze, Parma e Bologna.